Quando Hooker Berry, un sauro sfilato e potente, ha messo una figura tra sé e gli altri, JMB – ovvero Jean…Michel… Bazire – ha alzato la frusta e il braccio a traguardo lontano; nei pressi dello stesso, fiducioso dell’andatura cronometrica del figlio di Booster Winner (Love You), ha addirittura elevato la gamba destra in segno di giubilo, proprio come fece quando, in una entusiasmante edizione dell’Elitlopp di Stoccolma, portò al traguardo Exploit Caf.

JMB è stata l’espressione francese più concreta del cosiddetto catch-driver, il guidatore assoldato per far rendere il cavallo al meglio, chiunque fosse il suo allenatore.

Con Hooker Berry JMB ha totalizzato il quinto Amerique e si è installato, in una sezione particolare, tra i grandi guidatori che hanno trionfato nella corsa faro del trotto mondiale.

Tutti quelli che abitano lo speciale olimpo dei plurivincitori hanno però un denominatore comune che è bene descrivere.

La sommità “est le Pape du Vincennes”: Jean-René Gougeon, con otto vittorie.

Lo segue Alessandro Finn, il russo amante del cronometro, meraviglioso con i cavalli di Orsi Mangelli, nell’epoca precedente il secondo conflitto mondiale.

Poi i recenti fuoriclasse: JMB appunto e Franck Nivard.

In questo quartetto perché mai dovrebbe emergere il solo Bazire?

Il motivo è semplice e, se vogliamo, degno di contraddittorio: l’unico ad avere vinto con cavalli diversi ogni edizione è stato proprio JMB.

Iniziò giusto alla fine del secolo scorso quando Jimmy Takter gli mise in mano la leggendaria Moni Maker, giumenta americana, cavalla fenomenale con la quale il catch-driver francese espresse tutto il suo estro alla guida; fu singolare Kesaco Phedo, con un finale mozzafiato, tambureggiante Up and Quick, folgorante Belina Josselyn e straripante Hooker Berry. Percorsi costruiti per cercare ogni stilla nelle gambe dei protagonisti, fors’anche volatili, della corsa che tutti vorrebbero vincere.

Le Pape, Jean-René Gougeon, ebbe tre fenomeni: la galattica Roquepine (2), il roboante Bellino II (3) e il siderale Ourasi (3). Nulla da togliere al merito di averli coltivati per così lungo tempo, anzi, forse per questo inarrivabile per densità di valore. Basta ricordare che Ourasi ne vinse un quarto con il figlio e Roquepine se ne aggiudicò uno con il proprietario, a dir dell’immensità di Gougeon, abile nel costruire i fenomeni e nel mantenerli nel tempo.

In tempi differenti fece lo stesso Finn, austero russo, mentore dei fuoriclasse procuratigli da Orsi Mangelli: Muscletone 2, De Sota 2 e Mighty Ned vennero dopo la vittoria di  Passeport nel 1924 a dipingere un fuoriclasse delle redini lunghe che fece scuola in Italia e nel mondo.

Lo stesso potremmo dire di Frank Nivard, driver di una genia: il bisbetico Ready Cash (2) e il suo figlio migliore Bold Eagle (2) vennero dopo la rivelazione Meaulnes du Corta (2009), anche qui a significare connubi duraturi che, da un lato esplicitavano la bontà dell’unione e dall’altro privilegiavano il cavallo sull’uomo.

Bazire è stato differente: minacciato da un ictus che pareva condannarlo all’inabilità, ha raccolto le forze, ha ricostruito la scuderia in proprio, senza trascurare gli ingaggi da driver d’occasione, e, con Davidson du Pont, si è impossessato di un altro Ameriqué con il figlio Nicolas. Ne avrebbe vinti sei con sei cavalli differenti, a conferma di un estro unico, equamente distribuito tra guida e preparazione, una dote da uomo di cavalli essenziale e tagliente nei momenti in cui  la corsa lo richieda.

Un uomo puntuale agli appuntamenti col destino che, per lui, si chiama Premio d’America, come avrebbe detto Walter Baroncini, uno dei pochi italiani ad averlo nel palmares.