LE ORIGINI


Mio nonno aveva una Sonne, che tutt’ora conservo; una replica italiana della Leica M3, fatta in Italia da un suo geniale amico. A quattordici anni mi regalò una reflex, un 50 millimetri e un duplicatore per fotografare le a

Mio nonno aveva una Sonne, che tutt’ora conservo; una replica italiana della Leica M3, fatta in Italia da un suo geniale amico. A quattordici anni mi regalò una reflex, un 50 millimetri e un duplicatore per fotografare le auto da corsa, anno 1972. Subito il negativo in bianco e nero, la stampa personale e le notti in camera oscura. Poi qualche vetro universale, grandangolo e tele; un sacco di fotografie di auto da corsa. Volevo fare il reporter nella Formula 1 ma gli agi della vita borghese mi hanno indotto a studiare Medicina per seguire, non senza soddisfazione, la carriera di mio padre odontoiatra.

Il tarlo fotografico, con periodi di letargo, ha continuato a corrodermi fino a oggi dove ogni occasione è buona per fingere di essere quello che non sono mai stato.

Ho girovagato tra luoghi e pellicole, dall’analogico al digitale, nel mondo che la fortuna mi ha consentito di visitare, con un occhio attento e ingenuo, trasfigurandomi da reporter per andare all’essenza delle popolazioni, per scovare emozioni nella natura.

Sono passati cinquant’anni e pare retorico dire che non ci si è accorti; nella realtà hanno lasciato segni, hanno tracciato percorsi e sono diventati una parte non irrilevante del mio essere. Parafrasando Keith Richards, anima dei Rolling Stones, “ …fare canzoni (fotografie) non è come scrivere un diario, però non fa molta differenza” così è stato per me.

In cinquant’anni ho fatto un piccolo periplo, dall’Est all’Ovest del mondo; ho trattato temi diversi e dissonanti, con l’onestà intellettuale di chi fa ciò per un piacere intimo da condividere.

Questo viaggio è costituito da tante piccole storie; esso stesso è una piccola storia, tessera di mosaico, mattone di costruzione. Immergersi in queste vicende ha significato spogliarsi dei propri panni per indossarne altri, spesso sconosciuti, per un fuggevole attimo da ricercare nelle immagini.

Con la segreta speranza che quell’emozione fugace si trasmetta all’infinito, persona dopo persona, sguardo dopo sguardo, in una spirale del tempo che avvolge le nostre esistenze finite.

uto da corsa, anno 1972. Subito il negativo in bianco e nero, la stampa personale e le notti in camera oscura. Poi qualche vetro universale, grandangolo e tele; un sacco di fotografie di auto da corsa. Volevo fare il reporter nella Formula 1 ma gli agi della vita borghese mi hanno indotto a studiare Medicina per seguire, non senza soddisfazione, la carriera di mio padre odontoiatra.

Il tarlo fotografico, con periodi di letargo, ha continuato a corrodermi fino a oggi dove ogni occasione è buona per fingere di essere quello che non sono mai stato.

Ho girovagato tra luoghi e pellicole, dall’analogico al digitale, nel mondo che la fortuna mi ha consentito di visitare, con un occhio attento e ingenuo, trasfigurandomi da reporter per andare all’essenza delle popolazioni, per scovare emozioni nella natura.

Sono passati cinquant’anni e pare retorico dire che non ci si è accorti; nella realtà hanno lasciato segni, hanno tracciato percorsi e sono diventati una parte non irrilevante del mio essere. Parafrasando Keith Richards, anima dei Rolling Stones, “ …fare canzoni (fotografie) non è come scrivere un diario, però non fa molta differenza” così è stato per me.

In cinquant’anni ho fatto un piccolo periplo, dall’Est all’Ovest del mondo; ho trattato temi diversi e dissonanti, con l’onestà intellettuale di chi fa ciò per un piacere intimo da condividere.

Questo viaggio è costituito da tante piccole storie; esso stesso è una piccola storia, tessera di mosaico, mattone di costruzione. Immergersi in queste vicende ha significato spogliarsi dei propri panni per indossarne altri, spesso sconosciuti, per un fuggevole attimo da ricercare nelle immagini.

Con la segreta speranza che quell’emozione fugace si trasmetta all’infinito, persona dopo persona, sguardo dopo sguardo, in una spirale del tempo che avvolge le nostre esistenze finite.